L’intestino può dare origine alla dipendenza da alcool?

I microorganismi presenti nell’intestino potrebbero rendere una persona più vulnerabile ai disturbi legati all’abuso di sostanze.

Andrew Day, microbiologo molecolare alla Tufts University di Medford, Massachusetts, è sobrio da 4 anni; il suo percorso fino a questo punto, ispira il suo lavoro che spera possa aiutare altre persone che lottano con l’alcol.

Ci sono molti fattori di rischio associati al disturbo da uso di alcol, tra cui condizioni di salute mentale e genetica, ma Day sta tenendo d’occhio un fattore più insolito: l’intestino.

Negli ultimi 10 anni la ricerca ha iniziato evidenziare un collegamento fra il microbioma gastrointestinale, quindi l’insieme dei microorganismi che vivono all’interno del nostro tratto digerente e la dipendenza.

Abbiamo visto che il microbioma o microbiota è coinvolto in tantissime cose, sta diventando sempre più centrale, come fosse proprio un altro organo di cui occuparsi e in questo caso parliamo di come è legato alle dipendenze da alcol, da droga in generale.

I ricercatori, tra cui Day, suggeriscono che uno squilibrio in microbiota intestinale, noto come disbiosi, potrebbe far sì che l’intestino invii segnali al cervello che promuovono comportamenti che danno dipendenza; se è corretto, l’intestino potrebbe diventare un bersaglio terapeutico per le persone con questi disturbi.

Si potrebbe trovare qualcosa che potrebbe rendere più felici le persone, che potrebbero non essere così fortunate da mantenere la sobrietà.

Day sta studiando la teoria secondo cui alti livelli del fungo Candida albicans nell’intestino, contribuiscono ad aumentare il consumo di alcol nei topi, come parte del suo dottorato di ricerca.

Si tratta di un netto distacco dagli approcci medici convenzionali per il trattamento della dipendenza; la maggior parte dei farmaci per trattare queste cose e per trattare il disturbo da uso di sostanze, tipo la droga, si concentrano sulla chimica del cervello.

Molti di essi però non sono molto efficaci: i farmaci approvati per questo dalla Food and drug Administration statunitense, includono il naltrexone e l’acamprosato.

Inoltre la nostra agenzia europea per i medicinali, l’EMA, ha approvato il nalmefene; queste sostanze modulano i recettori cerebrali come quelli che legano l’acido Y amminobutirrico, questo, chiamato anche GABA, è un neurotrasmettitore inibitorio, che si ritiene abbia un ruolo nell’astinenza, nel desiderio, nel comportamento impulsivo.

Altre sostanze modulano i recettori degli oppioidi e riducono quindi il desiderio di alcol ed altri bloccano le sensazioni euforiche, che sono associate all’alcol.

Però, secondo la Substance Abuse and Mental Health Services Administration degli Stati Uniti, solo il 42 per cento delle persone che ricevono il trattamento per qualsiasi tipo di dipendenza, completa il trattamento stesso.

Tra il 40 ed il 60 per cento delle persone con questi disturbi ricadrà e possono volerci anni a volte decenni di altalene, tra astinenza e ricaduta, prima che qualcuno raggiunga una remissione duratura, smetta quindi di bere, di abusare di queste sostanze.

Chiaramente quindi c’è spazio per miglioramenti; Benjamin Boutrel, che è un neurobiologo presso l’ospedale universitario di Losanna in Svizzera, dice che alla fine abbiamo mancato l’obiettivo per 50 anni, soprattutto perché non è solo una questione di cervello, è probabilmente anche una questione di viscere.

E’ ormai ben noto che esista una comunicazione complessa tra intestino e cervello chiamata l’asse intestino-cervello: questa comunicazione avviene attraverso il nervo vago e attraverso il sistema endocrino ed immunitario.

Si è ipotizzato che questa segnalazione intestino-cervello influenzi i comportamenti correlati alla dipendenza in due modi principali: il primo riguarda una condizione nota come sindrome dell’intestino permeabile o dell’intestino che perde.

Stress, cattiva alimentazione, allergie alimentari, chemioterapia ed altri farmaci, condizioni come la malattia infiammatoria intestinale, probabilmente anche l’abuso di alcol, possono danneggiare lo strato di cellule epiteliali che rivestono l’intestino.

E’ come se fossero tante piastrelle, una attaccata all’altra, che rivestono l’interno della tubazione dell’intestino; se i collegamenti fra una piastrella e l’altra diventano laschi, questo può rendere la parete intestinale permeabile alle particelle di cibo ed ai batteri, che possono quindi insinuarsi nel sistema circolatorio.

Quando questo accade le cellule immunitarie secernano mediatori infiammatori come le citochine, che abbiamo visto essere una cosa dannosa.

Queste proteine possono quindi raggiungere il cervello, sia attraverso il nervo vago, sia attraversando aree deboli nella barriera ematoencefalica, che è questo strato specifico destinato a proteggere il cervello dal resto della circolazione del sangue.

La successiva infiammazione può influenzare il cervello in diversi modi, che potrebbero promuovere la dipendenza.

Questo perché: perché le citochine riducono il triptofano, il che può portare a una ridotta produzione dell’ormone che regola l’umore, la serotonina.

L’amigdala del cervello, che è la parte, insomma, un po’ più collegata agli impulsi profondi, potrebbe percepire una minaccia nel corpo ed aumentare la sua attività in risposta all’infiammazione.

Anche un’altra area del cervello, chiamata striato ventrale, che è correlata all’anticipazione della ricompensa potrebbe essere attivata.

Anche la corteccia cingolata anteriore, che è la parte del cervello coinvolta nel controllo inibitorio, nel comportamento compulsivo, può attivarsi durante l’infiammazione.

L’altro possibile meccanismo è che le molecole prodotte dai microbi intestinali potrebbero influenzare la dipendenza.

Alcune di queste sono importanti per il funzionamento del cervello: i batteri intestinali lactobacillus, ad esempio, possono produrre GABA, l’Enterococcus può produrre serotonina ed altri possono produrre la dopamina, che sono tutte sostanze collegate al meccanismo di ricompensa, di piacere e che quindi vanno ad influenzare i comportamenti, anche compulsivi, delle persone.

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Gli acidi grassi a catena corta, rilasciati quando la fibra alimentare viene fermentata dai batteri dell’intestino, hanno anche proprietà neuroattive, quindi la disbiosi intestinale ed il suo conseguente impatto su GABA, serotonina, dopamina e triptofano, potrebbero rendere una persona più suscettibile alla dipendenza e comportare sintomi di astinenza più gravi, rispetto ad una persona con un microbioma intestinale sano.

Ovviamente, per esempio, chi fosse tossicodipendente o anche un forte bevitore, ha un effetto come “il cane che si morde la coda”, perché questo produce il microbioma intestinale meno sano, che a sua volta lo spinge di più a fare questo tipo di comportamenti e quindi, capite bene, che va sempre peggio.

Drew Kirali, psichiatra e medico presso la Wake Forest University di Winston-Salem, nella Carolina del nord, sostiene che il microbioma intestinale è davvero importante per alcuni organi tra cui il cervello; questi ha osservato associazioni tra disbiosi e comportamento di dipendenza da stimolanti oppioidi nei ratti.

Ha utilizzato antibiotici per impoverire i microbi intestinali benefici dei ratti con conseguenti risposte aberranti ai farmaci; gli animali avevano un’assunzione maggiore di cocaina e fentanyl, afferma, e dopo l’astinenza hanno ricadute ed hanno un comportamento di ricerca più elevato del fentanyl.

Il Fentanyl, sappiamo, è questa sostanza terribile che in America sta facendo stragi e che è la nuova eroina, costa molto di meno ed ha effetti terribili, perché basta un piccolo errore nella dose e le persone si trasformano in zombie.

Anche prima del primo contatto con alcol o droghe, una disbiosi preesistente potrebbe rendere qualcuno più vulnerabile alla dipendenza.

Lo squilibrio potrebbe dare origine a tratti come impulsività, noia, suscettibilità allo stress o all’ansia e ricerca di sensazioni.

Quindi, teniamone conto anche per eventualmente i figli, uno dice: ” ah! ho paura che mio figlio si droghi, vada a cercare pasticche strane in discoteca”, e magari, se ha una disbiosi intestinale, è più predisposto per questo o anche le persone che dicono “io non ce la faccio a stare fuori da questi giri”, dovrebbero magari prima di tutto curare l’intestino, per questo stiamo pensando anche a questo tipo di esami, appunto, analisi del microbiota, perché sono molto utili anche per andare a definire addirittura il comportamento poi psicologico.

Coloro che si eccitano giocando a poker, con il sesso patologico, hanno tutti bisogno di qualcosa e c’è una vulnerabilità che una volta stabilito questo primo contatto innescherà la ripetizione ed infine la dipendenza.

Nel 2018, Boutrel ed i suoi colleghi, hanno sottoposto un gruppo di 59 ratti a una serie di test progettati per valutare la loro vulnerabilità a questo tipo di problematiche; innanzitutto i roditori sono stati addestrati ad auto-somministrarsi alcool premendo una leva.

I ricercatori hanno poi cercato di valutare l’autocontrollo dei ratti, introducendo un ritardo nella somministrazione della ricompensa.

Alcuni ratti hanno premuto il pulsante una volta, si sono resi conto che dovevano aspettare ed hanno continuato a fare i fatti loro, ma alcuni continuavano a premere più e più volte nel tentativo di far arrivare l’alcol più rapidamente ed è un’indicazione di dipendenza.

Il test finale, che Boutrel ritiene il più significativo, ha introdotto un deterrente: uno spiacevole shock elettrico al piede ogni volta che gli animali assumevano alcol.

Per la maggior parte dei ratti questo scoraggiamento è stato sufficiente e hanno smesso di premere la leva; tuttavia una considerevole minoranza semplicemente non se n è preoccupata, non riuscivano a smettere di premere la leva e ad accedere alla ricompensa, anche quando ricevevano una punizione.

In totale circa il 30 per cento dei ratti ha dimostrato vulnerabilità di questo tipo.

Dopo aver identificato il gruppo dei ratti vulnerabili, Boutrel ed i suoi colleghi hanno rimosso l’alcol dall’ambiente dei ratti per 3 mesi e poi hanno confrontato i cervelli ed i microbiomi intestinali dei ratti vulnerabili con quelli dei ratti che si erano dimostrati più resistenti a questo tipo di tentazioni.

Il team ha scoperto che i ratti vulnerabili avevano recettori della dopamina 1 più efficienti e sono i recettori che innescano una maggiore ricerca di ricompensa e motivazione, mentre avevano ricettori della dopamina 2 meno efficienti, che sono quelli che causano impulsività ed un maggiore bisogno di ricompense immediate e somministrazione di farmaci.

Hanno anche trovato differenze nel contenuto batterico dell’intestino dei ratti vulnerabili, in particolare cambiamenti in specifici batteri che sono associati alla riduzione nei recettori della dopamina 2.

Questo, suggeriscono i ricercatori, è un’indicazione che il microbiota intestinale potrebbe influenzare i circuiti cerebrali associati alla dipendenza.

Sophie Leclercq, scienziata biomedica presso la Catholic University of Louvain di Bruxelles, è stata una delle prime sostenitrici della teoria sull’origine intestino-cervello delle dipendenze ed una delle prime a testarla sulle persone.

Il suo obiettivo era scoprire se la permeabilità intestinale fosse correlata a tratti caratteriali che potrebbero rendere le persone più suscettibili alla dipendenza da alcol.

Leclercq ed i suoi colleghi hanno testato la permeabilità intestinale di 60 persone con questo tipo di problemi, due giorni dopo aver iniziato l’astinenza.

I ricercatori hanno scoperto che 26 avevano un’elevata permeabilità intestinale; all’inizio dello studio tutti coloro che avevano questo tipo di problemi, avevano punteggi più alti di depressione, ansia e desiderio rispetto alle persone nel gruppo di controllo.

Alla fine di tre settimane di astinenza, i punteggi delle persone con bassa permeabilità intestinale sono tornati a livelli uguali a quelli del gruppo di controllo; le persone con elevata permeabilità intestinale, invece, hanno comunque ottenuto punteggi elevati nei test di depressione, ansia e desiderio, che sono direttamente correlati alla voglia di bere ed hanno un ruolo importante nel determinare se le persone possono astenersi dopo la disintossicazione.

Hanno scoperto che esiste una forte associazione tra la disbiosi, l’alterazione della composizione del microbiota intestinale, e sintomi come depressione, ansia e dolore.

Sebbene gran parte di queste ricerche sia correlata a persone che abusano di alcol, Kiraly afferma di aver visto risultati simili in persone che abusano di oppioidi, cocaina ed altri stimolanti.

L’esaurimento del microbiota sembra disregolare le reti che sono la base dei cambiamenti comportamentali.

Nel 2023 Kiraly ed altri colleghi hanno esaminato se i microbioti dei ratti influenzassero i comportamenti di ricerca di droga negli animali.

In un esperimento ai ratti è stata data acqua pulita, o acqua contenente antibiotici neomicina, vancomicina, bacitracina e pimaricina, tutti in grado di impoverire il loro microbiota intestinale.

Sono stati quindi lasciati entrare in una camera in cui potevano spingere una leva che si illuminava e forniva 0, 8 mg di cocaina; in seguito i ricercatori hanno modificato il comportamento della leva: si sarebbe illuminata quando premuta, ma avrebbe dovuto essere premuta più volte affinché i ratti ricevessero cocaina.

I ricercatori hanno scoperto che i ratti con microbiota intestinale impoverito avevano molte più probabilità di premere ripetutamente la leva per ricevere cocaina rispetto ai ratti a cui veniva data solo acqua pulita.

In un secondo esperimento, entrambi i gruppi di ratti sono stati in grado di auto-somministrarsi cocaina per due settimane per poi disintossicarsi per 21 giorni.

Quando i ratti sono tornati nelle gabbie in cui era disponibile la cocaina, quelli che avevano ricevuto antibiotici si sono diretti alla leva che in origine dosavo la cocaina due volte più velocemente degli altri.

Questi ratti hanno anche premuto la leva molto più frequentemente rispetto ai ratti di controllo.

Questi ricercatori volevano studiare un modello di ricaduta ed hanno visto che gli animali con un microbioma impoverito lavorano più duramente per un segnale correlato alla droga rispetto agli altri.

Molte persone usano droghe e non tutte arrivano allo stadio dell’uso problematico, questo potrebbe succedere perché il microbioma specifico li predispone.

C’è ancora molta ricerca da fare prima che un trattamento mirato al microbioma possa essere offerto alle persone con questo tipo di disturbi.

I ricercatori non sanno ancora, ad esempio, quale microbiota sia più importante e quali percorsi intestino-cervello debbano colpire.

Spesso si chiede: ma una persona può semplicemente mangiare yogurt e curare la sua dipendenza? In realtà sarà molto più complicato di così.

Kiraly vorrebbe vedere se i probiotici o altri trattamenti potrebbero avere un potenziale per le persone con un uso problematico precoce, ma che non sono ancora progredite verso la dipendenza totale.

Una sfida fondamentale è determinare esattamente quali componenti mirare; non è ancora chiaro cosa costituisca un buon microbioma, queste analisi sembrano suggerire che batteri come il lactobacillus erano in abbondanza nelle persone con questo tipo di disturbi, mentre invece akkermansia ed alcuni altri erano bassi.

C’è anche incertezza su quale sarebbe la parte più efficace e più facile da colpire della catena di comunicazione tra intestino e cervello.

Aree come sistema nervoso e flusso sanguigno, il sistema che circonda l’intestino, sono tutte candidate; è anche difficile trovare persone con disturbi di questo tipo che siano disposte non solo ad astenersi dal bere, ma anche a prendere parte alla ricerca.

La dottoressa Leclercq è una delle poche ricercatrici in grado di lavorare con le persone, invece che con i ratti, perché è affiliata ad un ospedale con una clinica di disintossicazione, ma anche lei può trovare difficile trovare abbastanza volontari per gli studi.

Nonostante questi problemi Leclercq sta andando avanti con la sua ricerca ed ora sta esaminando la nutrizione come un modo per migliorare il microbioma intestinale.

Sta iniziando uno studio sugli acidi grassi polinsaturi, come quelli abbondanti negli oli di colza e mais, noci, tofu e pesci grassi, tra cui salmone e sgombro e spera di avere risultati nei prossimi 2 anni.

Sta anche lavorando per correlare quali metaboliti del cibo siano correlati a depressione, ansia e desiderio e sta cercando di trovare finanziamenti per uno studio per testare questi particolari composti nutrizionali nelle persone.

Le aziende farmaceutiche hanno cercato di colpire GABA, dopamina e serotonina e questi trattamenti non sono molto efficaci, perché il tasso di ricaduta è molto alto.

Per le persone con questi disturbi, il cui intestino sta contribuendo alla loro condizione, interventi nutrizionali probiotici e prebiotici potrebbero alla fine migliorare le probabilità di successo.

Ricorda che la medicina ufficiale è importante e vanno seguite le indicazioni dei medici abilitati.

Non diciamo che queste cose si vanno a sostituire ad una vita sana, a una dieta equilibrata e al fatto di andare a farsi controllare tutte le volte che serve e assumere tutti i medicinali che ci vengono prescritti.

Questi sono potenziamenti che ci fanno rimanere operativi, lucidi e in grado di goderci la vita.

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