Le cellule segrete del cervello: gli Astrociti

Per decenni i ricercatori hanno discusso se le cellule cerebrali chiamate astrociti possano inviare segnali come i neuroni: di recente ricercatori hanno pubblicato la migliore prova che alcuni astrociti partecipano alla conversazione elettrica.

Sono Fulvio Dominici Carnino presidente del Movimento Estensione Vita.

Il cervello non è altro che un organo di comunicazione: i neuroni sono i diffusori di questo organo di conversazione e parlano tra loro scambiandosi impulsi elettrici con messaggeri chimici chiamati neurotrasmettitori, ripetendo questo processo miliardi di volte al secondo, il cervello converte gruppi di sostanze chimiche in azioni, ricordi e pensieri coordinati.

I ricercatori studiano il funzionamento del cervello ascoltando o origliando questa conversazione chimica, ma i neuroni parlano così forte che spesso, se ci sono altre voci più silenziose, potrebbe essere difficile sentirle.

Per la maggior parte del XX secolo i neuroscienziati hanno concordato sul fatto che i neuroni sono le uniche cellule cerebrali che propagano segnali elettrici; si pensava che tutte le altre cellule cerebrali, chiamate glia, svolgessero un ruolo di puro supporto.

Poi nel 1990 è emerso un fenomeno un pò curioso: i ricercatori hanno osservato un astrocita, un sottotipo di cellula gliale, che rispondeva al glutammato, il principale neurotrasmettitore che genera l’attività elettrica.

Nei decenni successivi i gruppi di ricerca hanno fornito prove contrastanti, alcuni riferendo che gli astrociti segnalano, altri ribattendo che sicuramente non lo fanno; il disaccordo si è manifestato nel corso di conferenze e di revisioni successive delle prove e queste due parti sembravano abbastanza inconciliabili.

Un nuovo lavoro, pubblicato su Nature, presenta la migliore prova finora ottenuta della capacità di azione degli astrociti, raccolta nel corso di 8 anni, da un’equipe co-diretta da Andrea Volterra, che è visiting professor presso il Wyss center for Bio and Neuro Engineering di Ginevra, in Svizzera.

Lo studio include due prove fondamentali: immagini del glutammato che fluisce dagli astrociti e dati genetici che suggeriscono che queste cellule, soprannominate astrociti glutamatergici, hanno il macchinario cellulare per utilizzare il glutammato come fanno i neuroni.

Il documento aiuta anche a spiegare i decenni di risultati contraddittori, poiché solo alcuni astrociti sono in grado di effettuare questa segnalazione, entrambe le parti in causa hanno, in un certo senso, ragione: i risultati di un ricercatore dipendono da quali astrociti sono stati esaminati.

Questo studio è molto interessante, perché fornisce una spiegazione del motivo per cui entrambi i dati erano in circolazione ed in conflitto.

La scoperta apre la possibilità che alcuni astrociti costituiscano una parte essenziale dei circuiti cerebrali; “Sempre di più ci avviciniamo all’idea che tutti i tipi di cellule partecipano al funzionamento del cervello” ha detto Volterra, “è molto più integrato di quanto si pensasse prima”.

Il nome generico glia, dal greco colla, per tutte le cellule cerebrali che non sono neuroni come gli astrociti, indica l’idea iniziale degli scienziati che il loro scopo principale fosse quello di tenere insieme i neuroni.

Tuttavia, dalla prima descrizione degli astrociti nel 1865, i ricercatori hanno scoperto che possono fare molto di più: ad esempio, sono dotati di recettori per il glutammato, che utilizzano per rilevare e ripulire i neurotrasmettitori in eccesso negli spazi intorno ai neuroni.

Meno chiaro è se siano in grado di usare il glutammato per generare da soli un segnale elettrico; nel 1994 i ricercatori hanno stimolato gli astrociti in una specifica condizione di lavoratorio ed hanno visto che i neuroni vicini sembravano rispondere preparandosi ad inviare un segnale.

Nel 1997 Volterra ed i suoi colleghi, hanno osservato il contrario: gli astrociti rispondevano ai richiami dei neuroni con onde oscillanti della molecola di segnalazione del calcio.

Dal 2000 al 2012 i ricercatori hanno pubblicato più di 100 articoli che riportano prove a favore della capacità degli astrociti di comunicare attraverso le sinapsi.

Altri ricercatori hanno messo in discussione il modo in cui queste prove sono state raccolte ed interpretate; nel 2014, ad esempio, i ricercatori hanno scoperto che un modello di topo, importante per questa ricerca, era difettoso, sollevando dubbi sugli studi precedenti che avevano utilizzato quei topi per le ricerche.

Nel frattempo però la visione degli astrociti si stava evolvendo e gli scienziati cominciavano a considerarli partecipanti attivi nell’elaborazione delle informazioni da parte del cervello.

Mentre i neuroni e i loro dendriti ramificati sono spesso rappresentati come alberi, gli astrociti sono più simili ad un fungo e formano un tappeto strettamente intrecciato che ricopre il cervello e condivide le informazioni tra le sue parti costitutive.

In questo modo gli astrociti sembrano formare una rete coordinata, che influenza l’attività neuronale: ad esempio nel 2016, mentre conduceva ricerche di neuroscienze presso la University of California di San Francisco, Kira Poskanzer ha scoperto che gli astrociti di topo possono indurre neuroni vicini ad entrare in uno stato di sonno ritmico regolando il glutammato.

“E’ meno simile ad una singola cellula che fa le sue cose e più simile a un’intera squadra di cellule che lavorano insieme”.

Tuttavia c’è una differenza tra l’eliminazione del glutammato e la vera generazione di segnali e Volterra pensava che alcuni astrociti fossero in grado di fare quest’ultima cosa.

Per dimostrarlo, però, aveva bisogno di prove che dimostrassero che gli astrociti sono in grado di inviare segnali e che dispongono degli strumenti giusti per farlo in modi rilevanti e significativi.

Volterra quindi ha approfittato di un nuovo approccio allo studio del cervello: il sequenziamento dell’ RNA di una singola cellula, questo consente di ottenere un’istantanea della serie completa di geni attivi nelle singole cellule di un tessuto.

Esaminando otto diversi archivi di cellule dell’ippocampo di topo, ha identificato nove gruppi di astrociti, distinti in base alla loro attività genica.

Gli astrociti di uno, soltanto uno, dei gruppi trascrivevano proteine note per essere coinvolte nel l’immagazzinamento, rilascio e trasporto di neurotrasmettitori tramite vescicole, come avviene nei neuroni.

Le cellule non erano distribuite uniformemente in tutta la regione cerebrale e nemmeno in circuiti specifici.

Per verificare la presenza di queste cellule nelle persone, Volterra ed il suo team hanno cercato in tre database di cellule ed hanno trovato informazioni a riguardo.

Per verificare la presenza di queste cellule nelle persone, Volterra e il suo team hanno cercato in tre database di cellule umane dell’ippocampo e hanno cercato le stesse firme proteiche osservate negli astrociti dei topi.

Queste firme, queste tracce, sono apparse in tutti e tre i set di dati, quindi vuol dire che ci sono anche negli uomini questo tipo di meccanismi.

I dati genetici, tuttavia, erano ancora una prova indiretta: Volterra aveva bisogno di mostrare la segnalazione in azione.

Quindi lui e il suo team hanno simulato un segnale neuronale agli astrociti in fette di cervello di topo ed hanno scattato immagini delle molecole rilasciate dagli astrociti.

Alcuni astrociti, non tutti, hanno risposto con il glutammato e quando i ricercatori hanno impedito agli astrociti di utilizzare le vescicole, le cellule non hanno più potuto rilasciare questo glutammato e quindi per Volterra la prova era chiara.

“Avevamo ragione” – dice lui -“ci sono astrociti che rilasciano glutammato ma ci sbagliavamo anche” – ha ammesso – “perché pensavamo che tutti gli astrociti rilasciassero glutammato”.

Queste scoperte cambiano abbastanza l’attuale comprensione del modo in cui il cervello comunica, in che modo lo cambino però è una questione ancora aperta.

Sapere che gli astrociti possono inviare segnali è solo il primo passo, questo fatto non risponde a come le sinapsi rispondono al glutammato astrocitario, non dice quali funzioni richiedono la segnalazione degli astrociti al posto dei neuroni o in aggiunta ad essi e non si spiega perché alcune aree del cervello abbiano più astrociti glutamatergici di altre o perché un sottoinsieme utilizzi questa funzione mentre il resto no.

Come tutte le nuove scoperte anche questa pone nuove domande alla scienza, ci sono quindi, un insieme significativo di prove ed ora serve una teoria per metterle tutte insieme.

Questo è molto importante anche per le ricerche in corso per l’intelligenza artificiale, perché se vogliamo simulare il funzionamento in un cervello umano in un sistema di reti neurali artificiali, ci sono solo i neuroni, solo le sinapsi e sono anche molto semplificati, rispetto a quelli biologici.

Sapere che ci sono altri meccanismi potrebbe consentirci di fare piattaforme di intelligenza artificiale ancora più efficienti e spettacolari rispetto a quelle già molto potenti che abbiamo adesso.

In più potremmo trovare che alcune delle malattie neurodegenerative Alzheimer, Parkinson, demenza senile, che ci interessano molto, hanno una radice, hanno un effetto che deriva anche dal funzionamento degli astrociti e magari lì andiamo a scoprire perché alcune sostanze di cui abbiamo parlato aiutano moltissimo ad evitare il degradamento delle funzioni cerebrali, in alcuni casi, senza capire bene, come probabilmente ci sono meccanismi di questo tipo in essere, non soltanto a livello dei neuroni ma anche di tutto il resto della glia, tutto il resto delle componenti del cervello.

Ricorda che la medicina ufficiale è importante e vanno seguite le indicazioni dei medici abilitati.

Non diciamo che queste cose si vanno a sostituire ad una vita sana, a una dieta equilibrata e al fatto di andare a farsi controllare tutte le volte che serve e assumere tutti i medicinali che ci vengono prescritti.

Questi sono potenziamenti che ci fanno rimanere operativi, lucidi e in grado di goderci la vita.

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